Articolo di Repubblica – Premio Letterario “Emanuele Morganti”

Scuola, il regista Vicari: “I social hanno restituito ai ragazzi la voglia di scrivere”    di Corrado Zunino

articolo_repubblica_27aprile  –    articolo completo sul Repubblica

Il fondatore della scuola di cinema Volonté ha creato un premio letterario per gli studenti di Alatri: è dedicato a Emanuele Morganti, ucciso a vent’anni. “E’ il mio omaggio a un ragazzo che conoscevo e al disagio che si vive nelle sue terre”

ROMA – Daniele Vicari, regista, scrittore, fondatore della scuola di arte cinematografica Jean Marie Volonté e da sempre vicino al mondo del’istruzione, ha voluto trasformare una tragedia che lo ha toccato da vicino – l’omicidio di Emanuele Morganti ad Alatri, il 26 marzo 2017, storia che ha raccontato nel libro “Emanuele nella battaglia” – in un premio a lui dedicato. Vicari conosceva il ventenne e la sua famiglia.

E’ un premio alla scrittura che, nella sua prima edizione – ieri la premiazione -, è stato riservato agli studenti di quinta dell’Istituto tecnico industriale Sandro Pertini, frequentato da Emanuele Morganti, e del Liceo Luigi Pietrobono. Il tema del premio era “La solitudine”. Sono arrivate trentacinque testi, tra poesie e racconti. Tre premi (500, 300 e 200 euro a partire dal primo) sono stati assegnati per le poesie: “Tokokyohi” di Tommaso Ascani, “Quadrilogia minima della solitudine” di Aurora Tulli e “L’attesa” di Giulia Ferazzoli, nell’ordine. Menzione per “Missione Aurelion” di Sara Souryal. Tre premi sono stati assegnati per i racconti: “99%” di Diego Loira, “Pagine preziose” di Giorgia Grassi e “L’illusione di una vana speranza” di Martina Padovani. Menzione per “Realtà e distopia” di Alexandru Jiga. Premio speciale per il racconto “La solitudine”, di Daniele Volpicelli.

Il regista Daniele Vicari 

Vicari, come è stata la partecipazione al Premio Morganti?

“Diffusa e di qualità. La giuria, la sua presidente Nadia Terranova e il sottoscritto siamo rimasti sinceramente sorpresi dal livello dei testi. Ci siamo emozionati. E’ un buon inizio, per un premio che vogliamo allargare a nuove scuole del territorio”.

La solitudine fa pensare ai due anni di pandemia vissuta dagli studenti. I temi erano immersi nel ricordo del lockdown?

 

“Solo in alcuni casi. E’ prevalso il racconto di esperienze sentimentali, amicizie, il bisogno di una relazione con l’altro. I racconti non sono cupi, è prevalsa l’energia necessaria per non soccombere di fronte agli eventi”.

A settembre, presentazione del premio, disse: “Non mi sorprenderebbe ricevere temi sgrammaticati”.

“Le dissi anche: ‘Imparare l’Italiano è difficile, dipende da molte cose e ho fatto una grande fatica anch’io”. I docenti dei due istituti di Alatri temevano si evidenziasse la distanza tra i lavori del liceo e quelli del tecnico, pensavano che dal secondo istituto non sarebbero arrivate poesie. E, invece, i lavori sono stati consegnati ed erano tutti articolati, profondi. Questo è possibile quando i ragazzi che interpelli hanno qualcosa da dire, ma il modo in cui un testo viene elaborato dipende molto dalla struttura educativa che hai intorno”.

Ci spieghi.

“I docenti del Pertini, per dire di un istituto conosciuto in tutta la provincia di Frosinone, fanno molte attività, influenzano la crescita di questi ragazzi. Maestri e professori sono la struttura di una scuola, quelli volenterosi e capaci fanno una scuola”.

Non è scontato che i ragazzi di oggi abbiano dimestichezza con la scrittura. I rapporti Invalsi di queste stagioni dicono esattamente il contrario: “Difficoltà di comprensione del testo” è un mantra usato per descrivere il rapporto con la lingua di questa generazione di alunni.

“I social, va detto, hanno rimesso al centro del mondo dei giovani la scrittura. La scrittura è tornata lo strumento principe di comunicazione, più dei video. Scrivere costringe chi lo fa a riflettere su di sé, che poi è il miglior modo per diventare adulti. Negli ultimi anni la scuola ha fatto uno sforzo per recuperare la scrittura. La Costituzione italiana, d’altro canto, ha proprio nella scuola pubblica le sue fondamenta più forti”.

I test Invalsi, quindi, sbagliano.

“I test Invalsi sono necessari, ma non sempre riescono a cogliere la qualità degli studenti che interrogano. La nostra Doxa, e ora torno al premio, è ristretta, non abbiamo attendibilità statistica, ma abbiamo capito che la maturità di un ragazzo oggi non la rilevi analzzando la sua conoscenza storica, per esempio. Con un tema, invece, la comprendi. Questa generazione apparentemente silenziosa, in verità ha cose da dire e un desiderio forte di dirle”.

Lei ha creato questo premio anche per ricordare Emanuele, la sua solitudine in quella piazza che non lo difese da un’aggressione brutale. Ci sono stati riferimenti alla storia, nei racconti?

“In due casi in maniera esplicita, in altri in maniera indiretta. La cosa importante è che i ragazzi hanno capito il senso dell’iniziativa: volevamo dare una risposta al disagio profondo che si vive in quest’area del Paese, il Frusinate. Ne avevo parlato a lungo con Melissa, la sorella di Emanuele, la persona che con ostinazione ha provato a indagare su quella morte violenta, a scuotere le coscienze di chi al processo si era mostrato reticente. E per organizzare il premio abbiamo coinvolto piscologi del territorio e le organizzazioni del sociale cresciute ad Alatri”.

Ci racconta come e quando ha conosciuto Emanuele Morganti?

“Suo papà, Beppe, veniva a caccia nella zona di Collegiove, a Rieti, dove mia madre aveva un bar. Emanuele accompagnava il papà in quelle battute, fin da piccolo, e con il tempo sono diventate persone di famiglia. Spesso pranzavano da mia madre. L’omicidio di Emanuele ha travolto due comunità, in provincia di Frosinone e nel Reatino. Quell’atto mi ha riguardato profondamente e, quando la luce mediatica si è spenta, sono entrato in quella famiglia colpita e rimasta sola. Ho vissuto il loro tentativo, impossibile in verità, di elaborazione del lutto”.

Per diversi mesi ha conosciuto la famiglia Morganti e la città di Alatri. Lei, nato in un’altra provincia del Lazio, che cosa ha compreso di quelle terre?

“Città, sì ma si potrebbe dire paesi. Nei paesi ci si divide per amicizia, e ci si frequenta tutti. Nei giorni successivi al fatto nelle cronache era emersa la rivalità tra Tecchiena, la frazione in basso, quella di Emanuele e dei suoi amici, e la parte alta e storica di Alatri. La verità è che i bulli in un paese li conoscono tutti. Fai colazione, magari il giorno prima di un omicidio, con la vittima o con il carnefice, con uno dei due ci hai lavorato, hai comprato qualcosa nel negozio di sua madre o di suo padre. La reticenza al processo, le testimonianze ritrattate, non sono dipese da un codice, ma dalla quotidianità di ogni individuo che abita un paese. Sì, quello sulla tragedia di Emanuele è stato un processo molto sgradevole. Dal punto di vista di Melissa, la sorella, insopportabile”.

Chi era Emanuele, morto a 20 anni?

“Una persona generosa e pacifica, piena di energia e di vita. Un cacciatore e un pescatore che amava la natura. Un ambientalista. Alla vigilia di quella notte al Mirò, il locale in piazza, Emanuele aveva avuto un colloquio di lavoro. Si era diplomato da poco, stava per cambiare vita: entrava nell’età adulta. Non conosceva le persone che lo avrebbero aggredito: ‘Ma perché ti vuoi picchiare? Che ti ho fatto?’, ha detto ai suoi assassini”.

Che studente era?

“Annamaria Greco, la preside del Pertini, diceva che era un ottimo allievo, vivace su un piano fisico e intellettuale. Ha avuto un ottimo rapporto con la scuola e voleva mettere in pratica quello che aveva studiato iniziando a lavorare in un’azienda della zona”.

Che cosa pensa Daniele Vicari dei tre aggressori che hanno spaccato la testa a un amico di famiglia?

“Gli aggressori di Emanuele rappresentano un problema perché non sono persone rare, uniche. Sono, piuttosto, molto diffuse. Il bullismo esiste in tutti gli strati della società, una società che vive perlopiù senza diritti, e nasce dalla volontà di difendere il gruppo, di farsi difendere dal gruppo. Dinamiche molto violente prendono spesso vita da qui. I tre aggressori, di cui non parlo volentieri, avevano lasciato gli studi alle superiori, uno di loro si era fermato alla terza media”.

Le responsablità della scuola, l’abbandono che favorisce le dinamiche violente.

“Abbandonare la scuola è un fatto serio, ma non si possono attribuire tutte le responsabilità alla scuola in sé. L’istituzione ne ha meno del 50 per cento. La scuola è fatta da bravi docenti, come il professore Fratta, che si fanno carico di una quantità impressionante di materie extracurriculari per arricchire il sapere dei ragazzi. Ho insegnato cinema, e lo insegno tuttora, in diverse scuole del Lazio e devo dire che in ognuna ho trovato uno o due professor Fratta e buoni dirigenti scolastici. Credo nella scuola, ne ho fondato una di cinema, pubblica”.

Che rapporto aveva Daniele Vicari adolescente con l’istruzione?

“Sono nato a Collegiove e da me la scuola non c’era. Ho dovuto studiare in Abruzzo e per le superiori mi sono trasferito a Roma. Ho frequentato un istituto tecnico ed ero destinato a fare l’operaio, poi l’università – La Sapienza di Roma, Lettere e Filosofia – mi ha fatto scoprire quello che sono adesso. La scuola ti insegna un po’ delle cose che ti servono a vivere, un po’. Le altre te le devi andare a cercare da solo. Ma la scuola resta necessaria”.

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